Nelle ultime settimane, l’economia mondiale ha mostrato i primi segnali di ripresa dell’attività produttiva legati alla fine del lockdown. Rimangono tuttavia limitazioni soprattutto agli spostamenti internazionali, con effetti particolarmente negativi per il trasporto aereo e il turismo.

Il commercio mondiale di merci in volume, crollato tra febbraio e aprile del 7,2% congiunturale (Fonte: Central planning bureau), non ha mostrato invece ancora un’inversione di tendenza. Nessuna area geografica ha registrato un incremento negli scambi e l’area euro ha segnato la flessione più accentuata (-13% le esportazioni e -11% le importazioni).

Le prospettive per i prossimi mesi, pur restando negative, mostrano segnali di progresso: gli indici PMI Global sui nuovi ordinativi all’export sono infatti risaliti dopo il crollo di aprile Sul fronte dei dati macroeconomici, in Cina, la riduzione della diffusione del contagio e la conseguente riapertura di molte attività produttive hanno continuato a migliorare le prospettive economiche: gli indici PMI dei servizi e della manifattura sono rimasti anche a giugno al di sopra della soglia di espansione.

La produzione industriale ha segnato una veloce risalita registrando in maggio un incremento tendenziale del 4,4% (+3,9% ad aprile). A maggio, i dati della bilancia commerciale hanno mostrato una caduta delle importazioni molto superiore a quella delle esportazioni (rispettivamente -16,7 e -3,3% in termini tendenziali), segnalando che l’inizio del recupero dell’economia cinese potrebbe penalizzare i prodotti esteri.

Anche negli Stati Uniti, i più recenti dati congiunturali hanno evidenziato una prima inversione di tendenza. L’indicatore di fiducia delle imprese di maggio, pur rimanendo sotto la soglia di espansione, ha registrato un avanzamento e a giugno la fiducia dei consumatori è aumentata con indicazioni di netto miglioramento collegate alla riapertura delle attività, alla ripresa dell’occupazione e ai trasferimenti pubblici a sostegno del reddito disponibile.

L’employment report di giugno ha mostrato, infatti, un recupero dell’occupazione diffuso a tutti i settori, e particolarmente marcato nei servizi, e un calo del tasso di disoccupazione a 11,1% da 13,3% a maggio.

Nell’ area euro, le vendite al dettaglio di maggio sono cresciute del 17,8% dopo la caduta congiunturale del mese precedente (-11,7%), per effetto dell’allentamento delle misure di contenimento e della riapertura degli esercizi commerciali. Nello stesso mese, il tasso di disoccupazione ha mostrato un aumento marginale (7,4% da 7,3% di aprile) a sintesi di movimenti eterogenei tra i paesi.

Le prospettive per l’area sono di un graduale miglioramento come suggerito dall’indice anticipatore €-coin, che ha toccato a maggio il livello più basso da settembre 2012 ma a giugno, pur continuando a scendere, ha mostrato una dinamica negativa più attenuata. L’indicatore ha continuato a risentire della contrazione della produzione industriale, nonostante il miglioramento della fiducia delle imprese e dei consumatori.

A giugno, l’Economic sentiment indicator (ESI) elaborato dalla Commissione europea ha registrato un recupero diffuso a tutte le componenti, estendendo i progressi parziali segnalati il mese precedente. La ripresa è stata particolarmente forte per il commercio al dettaglio che ha riguadagnato circa un terzo delle perdite di marzo e aprile. A livello nazionale, l’indice negli ultimi due mesi è risalito in Francia (-0,2 e +9,4), Spagna (+1,6 e +8,2), Italia (ad aprile non è stato rilevato, +8,2) e Germania (+3,2 e +6,6).

L’incertezza generata dall’ emergenza sanitaria non ha determinato una particolare volatilità del cambio dollaro-euro che tra aprile e giugno ha continuato a oscillare attorno a 1,09 dollari per euro. La caduta della produzione ha causato, invece, una fortissima contrazione della domanda di petrolio con effetti decisamente negativi sul prezzo. Dopo il crollo di marzo e le successive riduzioni di aprile, quando il valore medio delle quotazioni del Brent si è assestato a 18,5 dollari al barile, nei due mesi successivi si è manifestato un recupero (29,4 di maggio e 39,8 dollari a giugno) legato alla ripartenza dell’attività economica in molti paesi.

Imprese
Dopo il crollo generalizzato registrato a marzo e aprile, gli indicatori congiunturali disponibili per le imprese hanno mostrato una ripresa delle esportazioni e della fiducia.
L’indice destagionalizzato della produzione industriale, ad aprile, è diminuito in termini congiunturali del 19,1%, una contrazione elevata ma inferiore rispetto a quella registrata a marzo (-28,4%). Tra febbraio e aprile, il livello medio di produzione è calato del 23,2% rispetto ai tre mesi precedenti coinvolgendo quasi tutti i settori produttivi, seppure con intensità eterogenee.

Per ciò che concerne gli scambi con l’estero, i dati relativi ai mercati extra Ue per maggio segnalano un forte incremento delle esportazioni (+37,6% in termini congiunturali), dopo il marcato ridimensionamento delle vendite osservato nei mesi precedenti. In particolare, ad aprile le esportazioni extra Ue sono diminuite di oltre il 37,3%, una riduzione di poco superiore a quella delle vendite dirette verso l’Unione europea (-32,7%). Nonostante il miglioramento osservato, i valori registrati a maggio sono inferiori di circa 4 miliardi rispetto a febbraio.

L’incremento delle esportazioni è stato determinato prevalentemente dalle vendite di beni strumentali (cresciute a maggio di oltre il 60%) e in misura minore di beni intermedi (+27,1%) e di consumo non durevoli (+24,9%). Anche le importazioni dai mercati extra Ue evidenziano primi segnali di attenuazione della caduta (-2,4% a maggio, -12,5% ad aprile), condizionate ancora dalla riduzione degli acquisti di beni energetici (-16,9%) e di beni di consumo durevoli (-10,2%), mentre sono aumentati gli acquisti di beni strumentali (+13,6%). Al netto dei beni energetici, le importazioni sono cresciute dello 0,3%.

I segnali di ripresa si sono estesi anche a giugno quando gli indicatori di fiducia delle imprese hanno evidenziato evoluzioni incoraggianti in tutti i settori economici. In particolare, nella manifattura sono migliorati sia i giudizi sugli ordini sia le attese di produzione.

Osservando le disaggregazioni settoriali della manifattura, è possibile una lettura congiunta dell’evoluzione della fiducia di giugno e della caduta della produzione industriale nel periodo febbraio-aprile. Considerando le risposte a tutti i quesiti sulla fiducia (10 domande), le imprese della raffinazione mostrano un forte pessimismo sulla ripresa delle attività (a giugno in miglioramento solo 3 domande su dieci). Le imprese della produzione di legno, mobili e altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi esprimono invece un aumento generalizzato a tutte le componenti. La diversa reazione dei settori al crollo della produzione viene analizzata nell’approfondimento.

Famiglie e mercato del lavoro
I dati su redditi, consumi e mercato del lavoro sembrano riflettere gli effetti delle politiche di contrasto alla crisi. Nel primo trimestre, il calo del reddito disponibile lordo delle famiglie consumatrici (-1,6% rispetto al trimestre precedente) ha assunto un’intensità decisamente inferiore a quella del Pil nominale (-5,2%) e dei consumi finali (-6,4%, Figura 4), condizionati dall’inizio del lockdown. Conseguentemente la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici ha segnato un deciso aumento, attestandosi al 12,5% (+4,6 punti percentuali rispetto al trimestre precedente). La ricomposizione a favore della propensione al risparmio ha interessato con intensità simili anche i paesi dell’area euro (+4,2 punti percentuali).

A partire da maggio, l’allentamento del lockdown ha favorito il marcato aumento delle vendite al dettaglio (+25,2% in volume rispetto al mese precedente), alimentate dalla ripresa degli acquisti di beni non alimentari (+66,6%) che attenuano le cadute registrate nei mesi precedenti (-37,8% la variazione del trimestre marzo-maggio rispetto al trimestre precedente). In presenza di una riduzione degli acquisti di beni alimentari (-1,6% la variazione congiunturale) si rafforzano gli acquisti effettuati con il commercio elettronico (+41,7% la variazione tendenziale).

Sul mercato del lavoro la ripresa dei ritmi produttivi ha trovato un riscontro immediato in un deciso aumento delle ore lavorate nella settimana (29,6 ore per gli occupati totali, da 22 di aprile, dati non destagionalizzati) e in un calo degli occupati assenti nella settimana (16,4% da 33,8% di aprile, Figura 5). I livelli raggiunti si mantengono comunque distanti da quelli pre-crisi. Questi fenomeni si accompagnano a un’ulteriore diminuzione dell’occupazione (-0,4% pari a -84mila unità, rispetto al mese precedente) e a una prima ripresa della ricerca di lavoro. Il tasso di disoccupazione si è attestato al 7,8%, segnando un aumento di 1,2 punti percentuali rispetto al mese precedente, mentre il tasso di inattività si è ridotto (-0,6 punti percentuali).

Considerando il periodo marzo-maggio rispetto al trimestre precedente, la contrazione dell’occupazione ha assunto una dimensione di rilievo (-381mila unità) mentre l’aumento dell’inattività (+880mila unità) si è mantenuto superiore alla riduzione dei disoccupati (-533mila).

A giugno, il clima di fiducia dei consumatori è migliorato ritornando sopra quota 100. L’aumento è stato generalizzato tra le componenti ma con intensità diverse e più forti per il clima economico e per il clima futuro. Anche le preoccupazioni sulle attese di disoccupazione si sono ridotte rispetto al mese precedente, mantenendosi comunque su livelli elevati.

Prezzi

A giugno, per i prezzi al consumo si è confermata la fase deflativa. In base alla stima preliminare, l’indice per l’intera collettività ha registrato una variazione tendenziale negativa della stessa intensità segnata a maggio (-0,2%). L’andamento negativo è stato determinato ancora una volta dalla marcata caduta dei prezzi dei beni energetici (-12,1% in termini tendenziali), mentre hanno mantenuto la stessa forza le pressioni al rialzo su quelli alimentari (+2,5%). L’inflazione di fondo (calcolata escludendo energia, alimentari e tabacchi) ha rallentato appena (+0,5%). I profili di crescita dei prezzi dei servizi e dei beni industriali non energetici si sono mantenuti divergenti, con una decelerazione di 0,3 punti percentuali per i primi e una risalita di pari entità per i secondi.

Diversamente dall’Italia, nell’eurozona l’inflazione al consumo è aumentata (+0,3%, due decimi in più su maggio), scontando ribassi di minore intensità degli energetici (Figura.6). L’ampliamento del differenziale negativo del nostro Paese (0,7 punti in meno rispetto alla media dell’area, da -0,4 a maggio) ha anche riflesso un rallentamento più pronunciato dell’inflazione italiana nei servizi, ora inferiore di quasi un punto a quella media dell’area euro (+0,4% a fronte di +1,2%).

Nelle fasi precedenti la distribuzione finale, continuano a manifestarsi gli effetti delle spinte al ribasso dei prezzi delle materie prime, per i prodotti industriali a maggiore contenuto di lavorazione si comincia invece a delineare una attenuazione nei rialzi. A maggio per i prodotti industriali venduti sul mercato interno si è accentuata la caduta tendenziale dei prezzi (-7,2%), guidata da quella dei beni energetici e in minor misura dagli intermedi (-21,6% e -1,1% rispettivamente). La dinamica inflativa dei beni non alimentari destinati al consumo, poco sopra l’1% a inizio 2020, ha gradualmente cominciato a decelerare, scendendo a maggio al +0,3%. Sul rallentamento hanno inciso le riduzioni rispetto ai livelli dello scorso anno dei listini di importanti voci di consumo, quali tessili e soprattutto abbigliamento (-0,1% e -1,6%). Per queste voci, le indicazioni che si riscontrano ad aprile a livello di importazione sono differenti, con ribassi tendenziali per i primi e solo un rallentamento per i secondi.

L’incertezza delle condizioni della domanda e delle sue prospettive non lascia agli imprenditori ampi margini di manovra nella fissazione dei prezzi di vendita e negli ultimi mesi ha spinto quelli che producono beni di consumo a una forte cautela nelle politiche dei listini. A giugno prevale ancora chi prevede riduzioni fino all’inizio dell’autunno, anche se la quota è più contenuta rispetto a maggio.

Una risalita dell’inflazione è prevista invece dai consumatori, condizionati probabilmente nelle loro attese dalla dinamica più sostenuta dei prezzi dei beni di largo consumo nella prima parte dell’anno. Dopo il forte aumento di maggio, le aspettative inflazionistiche a giugno si sono comunque leggermente ridimensionate, ma ancora poco meno della metà degli intervistati si aspetta aumenti dei prezzi più o meno intensi nell’arco di un anno.

DIFFICOLTÀ E STRATEGIE DI REAZIONE DEL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO
1. Introduzione
A fronte di una richiesta aggiuntiva di informazioni statistiche sull’evoluzione dell’economia italiana durante l’emergenza sanitaria, l’Istat ha avviato attività conoscitive ad hoc oltre ad assicurare la diffusione degli indicatori tradizionali.

In particolare, a maggio è stata effettuata un’indagine campionaria rivolta alle imprese con almeno 3 addetti che, nel complesso, rappresentano quasi il 90% del valore aggiunto e circa tre quarti dell’occupazione complessiva. Il campione selezionato comprendeva circa 90 mila imprese.

In questo approfondimento si offre un ampliamento dei principali risultati dell’indagine presentati lo scorso 15 giugno, utilizzando anche i dati economici disponibili sul complesso delle imprese italiane, riferiti al 2018 e contenuti nel registro statistico Frame-SBS. Oltre a informazioni sugli aspetti dimensionali viene presentato un quadro delle caratteristiche delle imprese più vulnerabili, delle strategie di reazione adottate dalle imprese) e infine, utilizzando anche i dati dell’indice mensile della produzione industriale, una analisi settoriale del momento ciclico dei settori manifatturieri .

Nel complesso, la risposta all’impatto della crisi sembra delineare un quadro caratterizzato da una resilienza del sistema industriale in presenza sia di forti criticità tra alcuni segmenti di imprese sia di vincoli dal lato della domanda e dell’offerta.

2. Le principali caratteristiche delle imprese vulnerabili
Le misure di contenimento dell’epidemia hanno avuto un impatto significativo sul sistema produttivo italiano. Solo il 32,5% delle imprese (48,3% degli addetti, 54,0% del valore aggiunto) ha dichiarato di avere potuto operare durante le varie fasi di lockdown, mentre il 43,8% (26,9% degli addetti, 21,2% del valore aggiunto) ha dovuto sospendere la propria attività almeno fino al 4 maggio. Le conseguenze economiche hanno riguardato, pur con diverse intensità, l’intero sistema produttivo, colpendo anche il 49,1% delle imprese più produttive, che sono state in condizione di lockdown almeno fino al 4 maggio.

L’impatto della crisi sulle imprese è stato di intensità e rapidità straordinarie, determinando seri rischi per la sopravvivenza: il 38,8% delle imprese italiane (pari al 28,8% dell’occupazione, circa 3,6 milioni di addetti, e al 22,5% del valore aggiunto, circa 165 miliardi di euro) ha denunciato l’esistenza di fattori economici e organizzativi che ne mettono a rischio la sopravvivenza nel corso dell’anno.

Il pericolo di chiudere l’attività è più elevato tra le micro imprese (40,6%, 1,4 milioni di addetti) e le piccole (33,5%, 1,1 milioni di occupati) ma assume intensità significative anche tra le medie (22,4%, 450 mila addetti) e le grandi (18,8%, 600 mila addetti).

Utilizzando i cluster individuati dalle analisi sul Censimento permanente delle imprese 2019, è anche possibile valutare la presenza di eventuali effetti selettivi legati al grado di dinamismo dell’impresa: il rischio di chiusura riguarda più di un terzo delle unità produttive con basso dinamismo, mentre la quota si riduce a circa un quinto per quelle più dinamiche.

A livello settoriale, la criticità operativa delle imprese riflette la mappa associata ai provvedimenti di chiusura, colpendo in maniera più evidente i servizi ricettivi e alla persona: il 65,2% delle imprese dell’alloggio e ristorazione (19,6 miliardi di euro di valore aggiunto, poco più di 800 mila occupati) e il 61,5% di quelle nel comparto dello sport, cultura e intrattenimento (3,4 miliardi di euro di valore aggiunto, circa 700 mila addetti).

Anche negli altri settori l’impatto è rilevante, interessando circa un terzo delle imprese della manifattura (4 miliardi di euro di valore aggiunto, 760 mila addetti), delle costruzioni (1,3 miliardi di euro valore aggiunto, circa 300 mila occupati) e del commercio (2,5 miliardi di valore aggiunto, poco meno di 600 mila addetti).

La prospettiva di chiusura dell’attività è determinata prevalentemente dall’elevata caduta di fatturato (oltre il 50% in meno rispetto allo stesso periodo del 2019, ), che ha riguardato il 74% delle imprese e dal lockdown (59,7% delle imprese). I vincoli di liquidità (62,6% delle unità a rischio chiusura) e la contrazione della domanda (54,4%) costituiscono i principali fattori che hanno inciso sul deterioramento delle condizioni di operatività delle imprese mentre i vincoli di approvvigionamento dal lato dell’offerta hanno rappresentato un vincolo più contenuto (23%).

Rispetto alla performance, il rischio operativo coinvolge il 63,2% del segmento di imprese caratterizzato da una elevata fragilità (livelli limitati di produttività e alta frammentazione; circa 250 mila imprese che occupano 1,2 milioni di addetti). Questo insieme comprende prevalentemente micro e piccole imprese che operano nell’alloggio e ristorazione, ma anche in settori colpiti dalla crisi sanitaria in maniera meno diretta, come la manifattura e il commercio. L’incertezza per l’operatività futura coinvolge anche le imprese produttive e con alta rilevanza sistemica (11,1%, 14,1% del valore aggiunto e 1,5 milioni di occupati) caratterizzate da un numero di addetti superiore a 10 che operano in settori direttamente colpiti dalla crisi, quali i servizi connessi al turismo, l’alloggio e ristorazione e attività dello sport, cultura e intrattenimento.

La crisi ha creato una frattura che ha coinvolto le imprese lungo due direttrici. Da una parte, nei settori più profondamente colpiti dagli effetti dei provvedimenti di contenimento della pandemia, le conseguenze sono state rilevanti non solo per gli strati più fragili del tessuto produttivo, ma anche per le componenti più solide dal punto di vista sia strutturale sia di performance. Dall’altra, nei settori meno coinvolti dal lockdown, la crisi ha colpito in modo rilevante le imprese fragili e meno dinamiche.

3. Le strategie di reazione
Il sistema produttivo italiano sta reagendo alla eccezionalità della fase economica in maniera differenziata per dimensione e livello di dinamismo (Figura 8). Più di un terzo delle imprese (circa 360 mila unità, 24,3% degli occupati, 21,2% del valore aggiunto) ha dichiarato di non avere adottato alcuna strategia per fronteggiare la crisi. Questo insieme è caratterizzato dalla presenza di micro-imprese (38,1%, 370 mila addetti) e unità produttive marginali (37,5%, 1 milioni di occupati), che verosimilmente dispongono di ristretti margini di movimento.

Le imprese che hanno invece manifestato la volontà di predisporre strategie di reazione mostrano obiettivi organizzativi molto diversi: il 31,1% (circa 10% del valore aggiunto, poco più dell’8% dell’occupazione) prevede di contrarre l’attività, l’occupazione e/o gli investimenti; il 27,1% (30% del valore aggiunto, quasi 32% dell’occupazione) ha come obiettivo la crescita (dei prodotti, dei mercati, delle relazioni); il 41,8% (poco meno del 34% del valore aggiunto, il 37% degli addetti), infine, sta riorganizzando e adattando la propria attività.

Dall’analisi settoriale, dimensionale e per profilo di impresa emergono polarizzazioni tra comportamenti di tipo espansivo o riorganizzativo legati probabilmente ai diversi gradi di maturazione organizzativa. La prima tipologia coinvolge prevalentemente le imprese dell’industria in senso stretto (30,5%), del commercio (31,9%) e quelle con meno di 50 addetti mentre l’orientamento alla riorganizzazione è più marcato nelle costruzioni (43,8%), nei servizi di mercato (42,9%), nei servizi alla persona (55,2%) e tra le imprese con 50 e più addetti. Rispetto al profilo, le imprese più produttive e maggiormente integrate nel tessuto economico manifestano una prevalenza di strategie improntate alla riorganizzazione (43,4%) rispetto all’espansione (28,7%).

Nel comparto industriale e nel commercio, si registra anche una maggiore tendenza verso strategie di espansione (rispettivamente 30,5% e 31,9%), reazione che prevale anche nel segmento delle piccole imprese (28,8%). Un ulteriore elemento di resilienza è legato al fatto che nelle imprese produttive e sistemiche si riscontra una maggiore tendenza sia verso strategie espansive (28,7%) sia verso strategie di riorganizzazione (43,4%). Queste ultime sono particolarmente utilizzate dalle imprese che operano nei servizi alla persona (55,2%) e in quelle di maggiori dimensioni (46,1%% nelle medie, 51,6% nelle grandi).

Il quadro che emerge dai dati raccolti attraverso l’indagine speciale condotta sulle imprese, integrati con quelli di natura quantitativa presenti nei registri statistici dell’Istat, sembra mostrare da un lato significativi segnali di resilienza, veicolati attraverso strategie adattive di espansione e riorganizzazione, dall’altro seri rischi di tenuta operativa presenti in numerosi segmenti del sistema, con particolare riferimento alle micro-imprese o alle aziende con bassi livelli di produttività.

4. Caduta e ripresa dell’attività manifatturiera
Per la manifattura è possibile collegare le informazioni provenienti dall’indagine speciale di maggio con gli andamenti dell’indice mensile della produzione industriale, disponibile fino al mese di aprile.
Considerando una disaggregazione dei settori riferita alle due lettere della classificazione Ateco, sono stati calcolati i quartili della distribuzione dei tassi di crescita dell’indice di produzione industriale tra aprile e febbraio, affiancandoli alle informazioni su imprese a rischio, effetti della crisi e strategie di reazione. In tal modo i settori sono stati classificati in gruppi che vanno da quelli che hanno contratto in misura più accentuata la produzione (quarto quartile, seconda colonna della tabella) a quelli che invece hanno registrato flessioni più contenute (primo quartile). Il secondo e il terzo quartile rappresentano le situazioni intermedie.

Il quadro complessivo restituisce un’analisi articolata dei settori. Quelli caratterizzati da andamenti in miglioramento o in calo più contenuto (primo quartile), come il settore alimentare, bevande e tabacchi e la chimica e farmaceutica, evidenziano anche livelli contenuti di imprese a rischio (28,9% e 20,1% rispettivamente) e una significativa propensione all’espansione dell’attività (16,2% e15,7%), pari a circa due volte la media della manifattura. L’industria chimica e farmaceutica mostra anche forti vincoli dal lato dell’offerta (46,9%, circa 15 punti in più della media della manifattura). Meno favorevoli appaiono le prospettive dichiarate dalle imprese del legno, carta e stampa.

Il tessile, abbigliamento e pelli appare caratterizzato da una forte polarizzazione, con un livello elevato di imprese a rischio (48,2%) accompagnato da una quota significativa di imprese che dichiara di avere avviato strategie di riorganizzazione e cambiamento (38,4%).

Le criticità più marcate si manifestano nei minerali non metalliferi (quarto quartile) e metallurgia e prodotti in metallo (secondo quartile) entrambi contraddistinti da quote elevate di imprese che dichiarano di contrarre la propria attività (37,1% e 41,1%) e nel caso della metallurgia anche un valore elevato per i vincoli dal lato dell’offerta (39,0%). Infine, la presenza di forti vincoli dal lato della domanda caratterizza gli altri 3 settori del quarto quartile, Mezzi di trasporto, mobili e altre manifatture (rispettivamente 69,9%, 66,6% e 66,8%).

I settori manifatturieri mostrano una decisa resilienza che potrebbe suggerire una ripresa dei ritmi produttivi in presenza di una riorganizzazione dei processi. La mancanza di una risposta adeguata alla crisi e l’esistenza di vincoli dal lato sia della domanda sia dell’offerta costituiscono comunque un elevato fattore di rischio per la ripartenza.