Le esportazioni agroalimentari Made in Italy in Russia hanno perso oltre 1,3 miliardi negli ultimi sei anni e mezzo a causa dell’embargo deciso da Putin che tuttora colpisce una importante lista di prodotti europei con il divieto all’ingresso di frutta e verdura, formaggi, carne e salumi, ma anche pesce, come ritorsione alle sanzioni dell’Unione Europea.

E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione della visita dell’alto rappresentante della politica estera europea Josep Borrell per l’incontro con il suo omologo Serghei Lavrov dopo la condanna dell’oppositore Alexei Navalny.

 

L’agroalimentare – spiega la Coldiretti – è l’unico settore tuttora colpito direttamente dall’embargo deciso dalla Russia con decreto n. 778 del 7 agosto 2014 e più volte rinnovato che ha portato al completo azzeramento delle esportazioni in Russia dei prodotti presenti nella lista nera, dal Parmigiano Reggiano al Grana Padano, dal prosciutto di Parma a quello San Daniele, ma anche frutta e verdura. Al danno diretto delle mancate esportazioni in Russia si aggiunge – continua la Coldiretti – la beffa della diffusione sul mercato di prodotti di imitazione che non hanno nulla a che fare con il Made in Italy realizzati in Russia (Parmesan, mozzarella, robiola, ecc) o nei Paesi non colpiti dall’embargo come scamorza, mozzarella, provoletta, mascarpone e ricotta Made in Bielorussia, ma anche salame Milano, Parmesan e Gorgonzola di produzione Svizzera e Parmesan o Reggianito di origine brasiliana o argentina.

 

Il danno – continua la Coldiretti – riguarda anche la ristorazione italiana in Russia che, dopo una rapida esplosione, rischia di essere frenata per la mancanza degli ingredienti principali. In alcuni casi i piatti sono spariti dai menu mentre, in altri, sono stati sostituiti da tarocchi locali o esteri senza però che ci sia nella stragrande maggioranza dei ristoranti una chiara indicazione nei menu.

 

Si tratta di un costo insostenibile per l’Italia che – conclude la Coldiretti – deve affrontare le difficoltà provocate dall’emergenza coronavirus ed è importante che si riprenda la via del dialogo perchè il settore agroalimentare non può essere usato merce di scambio nelle trattative internazionali senza alcuna considerazione del pesante impatto che ciò comporta sul piano economico, occupazionale e ambientale.