Il Ministro Stefano Patuanelli è intervenuto oggi alla Camera dei Deputati per l’informativa sulle crisi aziendali.

Qui il suo intervento


“Grazie Presidente, onorevoli Colleghi,

non posso dire che sia un piacere venire a riferire su situazioni di crisi aziendali e in generale sui tavoli di crisi al Ministero. Credo che nessun Ministro dello Sviluppo economico sia contento quando si apre un tavolo.

Quello che ci impegna è trovare soluzione ai tavoli che si aprono. Cercherò di strutturare il mio intervento con una introduzione rispetto alla situazione numerica dei tavoli, anche con un quadro che amplia lo spettro a più anni. Cercherò di individuare quali sono poi gli strumenti di supporto che il Ministero dello Sviluppo economico può mettere in campo quando si aprono tavoli di crisi. Dopodiché cercheremo di entrare nel merito di alcune diverse situazioni di crisi che abbiamo affrontato in questi anni e che si concluse, citando casi positivi e casi negativi per meglio far comprendere a tutti le difficoltà o le situazioni virtuose in cui ci troviamo a lavorare.

Terminerò ovviamente con alcune proposte che cercheremo di portare avanti nei prossimi mesi di governo e concluderò con un riferimento ai tavoli più emergenziali come Ilva, anche se recentemente ho reso informativa in quest’aula, e Alitalia che sono certamente due dei tavoli più complessi che stiamo cercando di gestire.


INTRODUZIONE

Prima di aggiornarvi sullo stato dei tavoli tuttora pendenti e illustrarvi in dettaglio le azioni poste in essere e quelle future, mi preme sottolineare che le situazioni che gestiamo al Ministero rappresentano solo purtroppo una piccola parte delle aziende che vivono grandi difficoltà aperte dalla prima crisi economica del 2008.

Solo negli anni della crisi, 2008 e 2009, il numero di imprese cessate ha sfiorato le 630 mila unità, anche se negli ultimi anni il tasso di mortalità delle imprese continua il trend di progressiva riduzione avviato a partire dal 2014.

Innanzitutto voglio rivolgere il mio pensiero a tutti quegli imprenditori che non sono riusciti, e non riescono ancora oggi, a superare le difficoltà finanziarie e, in silenzio e nella indifferenza generale, sono stati costretti a cessare l’attività imprenditoriale o, nei casi peggiori, hanno pubblicamente il temuto riconoscimento del fallimento. Da questo punto di vista, credo che uno dei settori che ha conosciuto una maggior morte di piccole aziende e imprese è quello dell’edilizia. Convochiamo entro fine anno il tavolo di crisi del settore edilizia al MiSE per cercare di capire assieme alle imprese del settore delle costruzioni quali possono essere gli strumenti da mettere in campo come Governo per tutelare i piccoli imprenditori in un settore così importante, che rappresenta una delle colonne portanti del nostro sistema produttivo.

Parimenti sento il peso delle vite di quei lavoratori che a causa della crisi hanno perso il posto: non è facile gestire situazioni di questo genere perché significa dover fare quotidianamente i conti con l’esistenza di tanti cittadini e delle loro famiglie.

L’azione del Ministero dello Sviluppo economico è istituzionalmente orientata alla salvaguardia del patrimonio produttivo di tutte le imprese e, a fronte delle crisi, è concentrata a favorire la prosecuzione dell’attività e adottare ogni misura necessaria, anche in collaborazione con altri Ministeri, per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la tutela dei lavoratori.

Non vi sono, e non potrebbe essere altrimenti, azioni predefinite da mettere in campo valevoli per tutte le crisi aziendali: non esiste un farmaco universale. Sussistono infatti tipologie di crisi molto diversificate tra loro che richiedono soluzioni da individuare individualmente.

A fronte di una crisi il primo discrimine da considerare è se riguarda:

  1. Un intero settore che è divenuto obsoleto e necessita di interventi di riconversione produttiva
  2. oppure una singola azienda, indipendentemente dall’andamento del mercato nel settore di riferimento: in questo caso spesso la difficoltà proviene dal mancato tempismo degli investimenti rispetto alla domanda oppure per una mancata organizzazione interna.

Entrambe le situazioni conducono ad una crisi di natura finanziaria e/o patrimoniale dell’impresa che necessita di un intervento di sostegno, diretto o indiretto, da parte un soggetto terzo.

È in questa fase che il ruolo del MiSE assume piena centralità perché si occupa dell’analisi degli aspetti economico-produttivi, intervenendo tuttavia anche nella gestione delle conseguenze occupazionali con il supporto del  Ministero del Lavoro, delle associazioni sindacali e di categoria, delle istituzioni locali.

Durante i tavoli si perseguono in linea di massima i seguenti obiettivi che a seconda delle situazioni possono più o meno combinarsi:

  • Supportare processi di riorganizzazione e/o ristrutturazione aziendale
  • Proporre soluzioni che favoriscano il superamento di criticità economiche, finanziarie, organizzative, occupazionali
  • Favorire processi di reindustrializzazione
  • Attenuare, in stretto raccordo con il Ministero del Lavoro, le conseguenze per i lavoratori attraverso l’introduzione di soluzioni come gli ammortizzatori sociali
  • Gestire il confronto informativo e negoziale tra le parti nei casi di Amministrazione Straordinaria

La gestione concreta delle vertenze in crisi è svolta presso il MiSE da un’apposita struttura per la crisi di impresa. Al fine di potenziare il supporto per la proficua gestione delle crisi la struttura, già incardinata presso il Segretariato Generale, è stata ulteriormente potenziata trasferendo le relative competenze alla Direzione generale per la politica industriale, a seguito del riordino interno delle strutture del Ministero da ultimo realizzato con il DPCM del 19 giugno 2019 in vigore dal 5 settembre ultimo scorso. L’obiettivo perseguito che ha ispirato tale modifica è quello di mettere in atto tutte le competenze necessarie a favore della prevenzione e della gestione delle crisi in coerenza agli indirizzi di politica industriale, all’interno del quadro delle politiche di reindustrializzazione e riconversione delle aree e dei settori industriali colpiti da crisi, già materia di competenza della Direzione. Quindi accorpare la squadra delle crisi alla Direzione sulle Politiche industriali rende più omogenea la trattazione delle crisi

Tale struttura sarà ulteriormente rafforzata dalle misure introdotte dal recente DL “crisi aziendali” ove all’articolo 12 sono state introdotte norme funzionali al potenziamento della struttura assegnando un contingente di personale, fino a 12 unità, dotato di specifiche e necessarie competenze ed esperienze nel settore della politica industriale, analisi e studio in materia di crisi di impresa.

È chiaro tuttavia che tali misure di potenziamento della struttura debbono essere accompagnate da una “procedimentalizzazione” della gestione dei tavoli di crisi, finora non avvenuta

Al riguardo mi preme precisare che, contrariamente a quanto accade ad esempio presso il Ministero del Lavoro che agisce all’interno del perimetro della procedura di licenziamento collettivo definita per legge, presso il Ministero dello Sviluppo economico l’intervento tra le parti ha un carattere conciliativo, non sottoposto a procedure di legge, in genere attivato su richiesta delle organizzazioni sindacali, delle aziende o delle istituzioni territoriali.

È necessario quindi individuare chiare regole per il coinvolgimento del MiSE nella gestione ministeriale delle crisi. Il tempismo dell’intervento assume in questo ambito rilevanza fondamentale per valutare: le caratteristiche dell’impresa in crisi; i fattori determinanti; le soluzioni più idonee al caso specifico. La dimensione dell’azienda è un altro parametro significativo per l’individuazione dello strumento adatto: ad esempio per una crisi d’impresa di minori dimensioni che coinvolge un numero ridotto di dipendenti possiamo attivare strumenti quali il workers by out, agevolato dal Ministero attraverso i finanziamento agevolati della Nuova Marcora (finalizzata, come ben sapete, a sostenere la nascita di società cooperative costituite, in misura prevalente, da lavoratori provenienti da aziende in crisi). Al riguardo, penso all’esperienza virtuosa, in questi giorni appresa dalle fonti di stampa, dove i lavoratori di una ditta di ceramica di Città di Castello, interessata da un fenomeno di delocalizzazione, hanno rinunciato e reinvestito  il loro TFR e la NASPI acquistando l’azienda e dando vita alla “Cooperativa Ceramica Noi”.

Passando all’analisi del dettaglio dei tavoli pendenti, si evidenzia che il numero di vertenze è pari a 149 ad oggi, in linea, purtroppo, con quello degli anni ultimi 5 anni.

Numero di tavoli di crisi attivi MiSE
Anni 2014 2015 2016 2017 2018 2019
N. TAVOLI DI CRISI 160 151 148 165 144 149

 

La maggior parte dei tavoli sono attivi da parecchi anni: in taluni casi anche più di 7 anni perché sono situazioni che necessitano di un tavolo permanente perché, a causa delle criticità del settore, richiedono interventi di carattere strutturale.

Nello specifico, dico soltanto che di questi 149 tavoli di crisi 102, pari al 68,5%, sono attivi da più di tre anni e 28 sono aperti da più di 7 anni.

I tavoli permanenti rimangono molte volte aperti anche dopo la risoluzione della crisi che ha colpito l’azienda, anche per permettere alle parti sociali, alle istituzioni locali ed alle imprese di contare sul supporto del Ministero nella gestione ordinaria delle relazioni industriali, nonché per verificare il corretto utilizzo di eventuali strumenti agevolativi concessi e per eventuale ulteriore supporto istituzionale. I tavoli cessano di essere conteggiati tra i permanenti nei casi di cessione dell’attività produttiva, per il raggiungimento di un accordo che non richieda alcun monitoraggio, per esperita procedura, per il raggiungimento degli obiettivi di riorganizzazione o di stabilizzazione delle attività, per cessazione delle attività nonché per il cessare dei motivi per il quale sia stato aperto il tavolo, come nel caso di tavoli inerenti situazioni di fusione tra gruppi che possano comportare rimedi imposti dall’Antitrust che impattino le unità produttive o il perimetro occupazionale.

A questi si aggiungono le crisi di natura temporanea.

E’ evidente che c’è una narrazione per cui sono esplosi improvvisamente 149 tavoli di crisi, in realtà il dato medio degli ultimi 5-6 anni è di 151. Quindi mi sembra che, purtroppo, la gestione dei tavoli di crisi al Ministero dello Sviluppo economico denota questa costanza nel numero dei tavoli di crisi che accedono al Ministero non secondo una procedura ma perché vi è qualche soggetto tra le forze sociali, quindi i sindacati, gli enti locali o l’azienda stessa che chiedono un intervento del MiSE per agevolare un processo di reindustrializzazione.

Oltre ai i tavoli di crisi aperti, nel periodo tra il giugno 2018 e il giugno 2019 presso il Ministero dello Sviluppo economico, quindi oltre al singolo tavolo della prima riunione, si sono effettuati circa 1.320 tra incontri preliminari, ristrette, plenarie inerenti varie situazioni di difficoltà di aziende e di tavoli di crisi. Quindi non tutte le riunioni che si fanno al MISE diventano un tavolo di crisi. Qualche volta anche con una riunione ristretta o con un singolo incontro preliminare si riesce a trovare una soluzione per la singola azienda e per il singolo caso.

In molti di questi casi l’Amministrazione si è attivata supportando le regioni nella gestione di tavoli di crisi di competenza strettamente territoriale, in una modalità di proficua collaborazione mirata sia alla salvaguardia numero dei lavoratori sia ad altri aspetti di competenza del MiSE.

Esaminando le crisi da un punto di vista settoriale vi segnalo che oltre a quelli più noti, quali la siderurgia e l’automotive, vi sono anche gravi difficoltà per il tessile e la grande distribuzione organizzata.

Su base regionale, il maggior numero di tavoli riguarda aziende con sedi o unità produttive prevalentemente ubicate in Lombardia (corrispondenti al 13,42% del totale), a seguire in Abruzzo (ossia il 7,38% del totale), Campania, Piemonte, Lazio e Toscana. Oltre naturalmente ai tavoli che hanno carattere nazionale per il numero di unità operative presenti sull’intero territorio.

STRUMENTI DI SOSTEGNO ALLE IMPRESE IN DIFFICOLTA’

Per quanto riguarda gli strumenti di sostegno alle impresa in difficoltà in uso presso il Ministero, per le grandi imprese in difficoltà la procedura di amministrazione straordinaria costituisce la misura principe di regolazione della crisi d’impresa alternativa al fallimento, con specifiche finalità di salvaguardia delle attività aziendali e dei livelli occupazionali delle grandi imprese insolventi, che motivano l’attribuzione della relativa vigilanza a questo Ministero.

L’attività di vigilanza sulle procedure di amministrazione straordinaria trova il suo fondamento giuridico nelle disposizioni contenute nel decreto legislativo 270/1999 (c.d. Prodi bis) e nel decreto legge 347/2003 (c.d. Legge Marzano).

Il primo, che contiene una disciplina organica della procedura di amministrazione straordinaria, è stato emanato in riforma della c.d. Legge Prodi del 1979 (che per prima, aveva introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’amministrazione straordinaria), anche a seguito delle censure sollevate dalla Commissione europea sotto il profilo della compatibilità della stessa con la normativa in materia di aiuti di stato.

Altro tema molto complesso molto spesso si chiede al MiSE di attivare strumenti di incentivazione e di aiuto alle imprese e dopodiché dall’UE ci dicono che quello che stiamo facendo è un aiuto di Stato. Ritengo che su questo, in un momento di grande difficoltà economica, in cui l’UE è considerata il grande malato economico mondiale, schiacciato tra Cina e Stati Uniti, l’UE non suo complesso debba fare qualcosa di più, consentendo agli Stati membri di intervenire nelle aziende in crisi non considerando i sostegni degli aiuti di Stato lesivi della concorrenza di mercato.

In generale, il bacino di riferimento della amministrazione straordinaria è costituito dalle imprese commerciali insolventi con non meno di 200 dipendenti per quanto riguardo la disciplina contenuta nel decreto 270/1999 (c.d. Prodi bis) e non meno di 500 dipendenti per le imprese commissariate in base alla legge Marzano (legge 347/2003), su tutto il territorio nazionale.

Per quanto riguarda gli ambiti della cosiddetta legge Prodi, essa coinvolge oggi 124 Gruppi con circa 341 Società e per 4 di esse è ancora in corso la fase dell’esercizio d’impresa: si tratta delle procedure relative ai gruppi Selta, Pubbliservizi, Securpol e Stefanel.

Per quanto riguarda la cosiddetta legge Marzano, sono interessati 29 Gruppi con circa 253 Società. Per 7 di esse è ancora in corso la fase dell’esercizio d’impresa: Mercatone Uno, Tosoni, Tecnis , Condotte, Blutec, oltre a Ilva e Alitalia.

Non mi soffermo ora sugli ultimi tavoli essendo stati oggetto di specifiche interrogazioni e informative, ma in conclusione mi soffermerò su Ilva e Alitalia.

Con riguardo invece agli strumenti di incentivazione alle imprese volti al superamento di crisi di specifici comparti produttivi o di rilevanti complessi aziendali, il Ministero può giungere, nell’ambito dello strumento dei contratti di sviluppo, alla sottoscrizione di specifici accordi volti al sostegno di programmi ritenuti di particolare rilevanza strategica, anche in ottica di risoluzione di particolari situazioni di crisi.

Si tratta, nello specifico, di accordi di programma e accordi di sviluppo, riservati i primi a programmi di sviluppo di importo superiore a 20 milioni, ovvero 7,5 milioni per programmi riguardanti la trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli, i secondi a programmi di sviluppo di importo superiore a 50 milioni, ovvero 20 milioni per i programmi riguardanti la trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli.

La sottoscrizione di detti accordi consente un maggiore coinvolgimento delle amministrazioni locali (anche dal punto di vista finanziario) e l’attivazione di una procedura valutativa più celere.

Ai fini della valutazione degli investimenti proposti, ed in particolare per l’individuazione del carattere strategico dei programmi presentati, è dato rilievo a tematiche ritenute prioritarie per lo sviluppo del tessuto produttivo nazionale, riconducibili, da una parte, all’innovatività (coerenza con il piano nazionale Industria 4.0), dall’altra alla capacità di attrarre investimenti e capitali esteri e di attivare occupazione incrementale.

Altro importante strumento di agevolazione alle imprese che versano in situazioni di crisi è rappresentato dalla legge n. 181/1989, rivolta principalmente a quelle imprese ricadenti in aree di crisi industriale complessa, non complessa, nonché altre aree (es. terremoti Abruzzo e Centro Italia).

Con i decreti legge n. 83/2012 e n. 145/2013, si è provveduto al riordino della disciplina in materia di riconversione e riqualificazione produttiva delle aree di crisi industriale, introducendo, tra gli altri, strumenti di sostegno quali i Progetti di riconversione e riqualificazione industriale (PRRI) dedicati alle aree caratterizzate da recessione economica e da perdita occupazionale, riconosciute dal MISE aree di crisi industriale complessa.

In particolare, l’articolo 27 del decreto legge n. 83/2012 prevede che, nei casi di situazioni di crisi industriali complesse con impatto significativo sulla politica industriale nazionale, il MISE adotti Progetti di riconversione e riqualificazione industriale e demanda al Ministero il riconoscimento di situazioni di crisi industriale complessa, anche a seguito di istanza della regione interessata.

I PRRI promuovono, anche mediante il cofinanziamento regionale e con l’utilizzo di tutti i regimi di aiuto disponibili per cui ricorrano i presupposti, ivi incluse le agevolazioni di cui alla legge n. 181/1989, gli investimenti produttivi anche a carattere innovativo, la riqualificazione delle aree interessate, la formazione del capitale umano, la riconversione di aree industriali dismesse, il recupero ambientale, l’efficientamento energetico dei siti e la realizzazione di infrastrutture strettamente funzionali agli interventi.

Gli interventi agevolativi di cui alla L. 181/1989 sono rivolti anche alle situazioni di crisi non complessa individuati dal Ministero dello Sviluppo Economico su proposta delle Regioni, che presentano un impatto significativo sullo sviluppo dei territori interessati e sull’occupazione.

Complessivamente la dotazione finanziaria messa a disposizione per le aree di crisi industriale complessa, non complessa e altre aree, risulta pari a 735 milioni di euro.

I progetti ammessi alle agevolazioni di cui alla legge n. 181/1989 risultano pari a n. 74, riguardano investimenti per complessivi 392,7 milioni di euro, a fronte dei quali sono state concesse agevolazioni per un importo pari a 271,2 milioni di euro ed assicurata una nuova occupazione per 1.120 unità.

 


CASI DI CRISI AZIENDALI

Ritengo opportuno e doveroso sfruttare questa occasione anche per rappresentarvi nel dettaglio le azioni poste in essere in alcuni casi di crisi aziendali molto discussi negli ultimi mesi.

Nella prima parte mi soffermerò su casi che hanno registrato un consenso positivo in termini sia metodologici che per gli obiettivi prefissati e raggiunti, divenendo un esempio da applicare in altri casi.


Piaggio Aerospace

Piaggio Aerospace ha vissuto forti sofferenze per parecchi anni, tanto che nel giugno 2014 era stato sottoscritto un accordo presso il Mise per un piano industriale 2014-2018 che si basava sul trasferimento a Villanova di una parte dei lavoratori di Genova, l’esternalizzazione di una parte dell’attività produttiva di Villanova (circa 100 lavoratori) ad un altro imprenditore e l’attivazione di una ulteriore procedura di CIGS per ristrutturazione. Purtroppo però già nel 2016 vi fu la necessità di superare una ulteriore paralisi aziendale attraverso la modifica di quello stesso piano industriale con le necessità di separare le attività motoristiche dalle attività di produzione di velivoli civili e militari, di cedere ad altro imprenditore le attività motoristiche nonché ridurre gli organici con la uscita degli esuberi (quantificati in circa 130 lavoratori). Insomma una situazione molto critica anche nel 2016, e che si è protratta anche per i due anni successivi, senza soluzione alcuna, tanto da arrivare al 2018 in una situazione finanziaria completamente deteriorata. Nei giorni dell’insediamento del Governo Conte l’azienda era nella situazione di avere liquidità per il pagamento di poche mensilità di stipendi, tanto da portare poi la tensione sindacale ai suoi picchi, con scioperi, cortei pubblici e presidi che hanno messo a rischio anche la sicurezza pubblica. Il portafoglio ordini era soltanto sufficiente a tenere operativo il 40% del totale della forza lavoro, tanto da arrivare allo stato di insolvenza.

Il Ministero dello Sviluppo Economico nel Governo Conte, nel suo immediato intervento ha dapprima facilitato l’adozione del provvedimento di Amministrazione Straordinaria, per poi permettere di intraprendere azioni urgenti di primo contenimento, quali le istanze al Tribunale per il pagamento immediato degli stipendi, la firma di contratti istituzionali pari a 45 milioni di euro a favore delle unità di business Motori e Customer Service, al fine di stabilizzarne la produzione, la riorganizzazione e razionalizzazione della prima linea dirigenziale.

Successivamente, grazie agli impegni assunti dal Ministro per lo Sviluppo Economico, di concerto con il Ministro della Difesa, annunciati nel corso di una visita allo stabilimento nell’aprile 2019, è stato possibile firmare ulteriori contratti per 167 milioni di euro, che hanno portato il portafoglio ordini a un totale di 270 milioni, e avviare la finalizzazione di contratti per ulteriori 570 milioni di euro, da realizzare entro il corrente anno.

Questo per procedere nel percorso di rafforzamento delle attività della società, di graduale e continuo riassorbimento del personale dalla cassa integrazione e di garantire un futuro solido a un’azienda importante del nostro Paese ed al suo indotto.

La situazione attuale della società è quella quindi di avere un totale portafoglio ordini che ha raggiunto gli 823 milioni di euro, tra contratti esecutivi e vicini alla firma.

E’ prossimo alla pubblicazione il bando internazionale da parte della amministrazione straordinaria per la cessione dei complessi aziendali con l’obiettivo di identificare la soluzione migliore all’interno di un percorso che si possa concludere al massimo entro l’autunno del prossimo anno.

 


Industria Italiana Autobus

Questa azienda, alla riattivazione del tavolo presso il Ministero dello Sviluppo Economico, a Luglio 2018, si trovava in una situazione di forte indebitamento, non venivano pagati gli stipendi con regolarità, aveva un socio importante quale Leonardo in uscita dalla compagine societaria ed aveva negli anni portato operativamente l’intera produzione di autobus in Turchia, attraverso un socio di minoranza.

Questo nonostante l’azienda fosse nata proprio sotto l’egida del Mise nel 2014, con la fusione dell’ex Bredamenarinibus di Bologna e l’ex Irisbus (ex Fiat Iveco di Flumeri), con la sottoscrizione proprio presso al Mise, nel dicembre 2014, di un accordo in cui si annunciava la risoluzione del problema, e si stabiliva che tutti i dipendenti del sito ex IRISBUS passassero alla Newco I.I.A. (Industria Italiana Autobus) per favorire il riavvio dell’insediamento industriale che era fermo dal 2011. Nonostante poi anche il contratto di sviluppo messo a disposizione e firmato da Invitalia nel settembre 2016, per un ammontare di agevolazioni concesse di 17,8 milioni di euro su un investimento totale di 25 milioni, l’azienda si è continuata a trovare in forti difficoltà di natura finanziaria e soprattutto gestionale. Tanto è che il suddetto contratto di sviluppo che prevedeva la conclusione degli investimenti al 30 giugno 2018, con l’arrivo del Governo Conte è stato congelato proprio per la mancanza di rendicontazione adeguata.

Nel frattempo però l’azienda, con il supporto delle istituzioni si era aggiudicata importanti gare per la produzione di autobus, che non riusciva a consegnare in tempo, con accumularsi di penali e la produzione effettuata esternamente.

Per questo, in una situazione profondamente deteriorata l’intervento del Mise ha permesso a fine 2018 di avviare un percorso di salvataggio reale, volto alla salvaguardia produttiva ed occupazionale. Con il supporto del socio Leonardo sono state coperte delle fideiussioni, è stata poi dapprima effettuata una copertura delle perdite, una ricapitalizzazione al minimo con la conseguente fuoriuscita dalla compagine del precedente socio di maggioranza e l’ingresso, accanto a Leonardo, di Invitalia con una partecipazione nell’equity e un ruolo di regia nella gestione aziendale.

La nuova Industria Italiana Autobus oggi è una importante azienda italiana di progettazione, costruzione e commercializzazione dei bus che sta finalmente vivendo una fase nuova di rilancio dopo anni di turbolenze, con tutto quello che ne consegue anche nella gestione ordinaria di fornitori, clienti e personale. Sia a Bologna dove è stato tutto riassorbito dalla cassa integrazione che a Flumeri dove è in corso il riassorbimento e i lavori di rilancio del sito.

Nell’ultimo incontro al Mise del 9 ottobre 2019 è emerso che dopo l’intervento del Governo Conte è stata avviata la messa in sicurezza finanziaria dell’azienda, il reimpiego e la formazione dei lavoratori, nonché l’avvio dei lavori per l’ammodernamento degli impianti. Tutto ciò ha permesso il rilancio della società con la ripresa della graduale produzione di autobus e l’implementazione delle direttrici del piano industriale negli stabilimenti di Bologna e Flumeri. Sono già stati consegnati circa 300 autobus previsti dalle commesse acquisite per la città di Roma, Genova e della Regione Emilia Romagna. Le lavorazioni esterne sono state già reinternalizzate in parte presso gli stabilimenti italiani. In pochi mesi si sono riportate in Italia il 25% delle lavorazioni estere, con l’obiettivo di proseguire su questa strada e portare nel 2020 almeno il 60% delle lavorazioni e rendere gli stabilimenti in grado di riportarle e lavorarle tutte per il 2021. E’ stata inoltre confermata la presenza di nuove importanti commesse per il 2020.

Salto alcuni tavoli di crisi che sono nati in questi mesi e gestiti dal MiSE e passo al tavolo di crisi de La Perla.


La Perla

L’importante marchio italiano fondato nel 1954, dal febbraio del 2018 è posseduto dal Fondo olandese Sapinda Holding. Il 28 giugno 2019 l’azienda ha avviato per le due società bolognesi una procedura di licenziamento collettivo per 126 dipendenti. Al tavolo di confronto tra le parti del 29 luglio 2019 presso il MiSE è stata sospesa la procedura per avviare la trattativa tra le parti che si è conclusa dopo un aggiornamento del tavolo MiSE l’11 ottobre scorso con il raggiungimento di un accordo in sede locale il 30 ottobre 2019 in cui l’azienda ha concordato un percorso per il mantenimento del sito produttivo e l’utilizzo di strumenti del ministero del lavoro per il superamento della procedura di licenziamento collettivo.

 

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Crisi aziendali che negli anni antecedenti al 2018 si sono chiuse negativamente

In questa seconda ed ultima parte sulle specifiche crisi aziendali vorrei invece velocemente soffermarmi su alcune situazioni di crisi aziendali che negli anni antecedenti al 2018 non hanno avuto esito positivo.

Penso per esempio ai lavoratori di Almaviva, 1666 famiglie della sede di Roma, che il 1 ottobre 2016 aveva annunciato gli esuberi. Il tavolo convocato al MiSE solo a dicembre 2016 non ha potuto evitare i licenziamenti.

Penso ai lavoratori del gruppo Canali, azienda con un marchio importante del Made in Italy nel tessile e nella moda, con insediamenti industriali in Abruzzo, Marche e Lombardia e 1200 addetti circa. Nel luglio del 2016 ha deciso la cessazione della linea di produzione di pantaloni nel sito di Gissi, in provincia di Chieti in Abruzzo e a  novembre 2017 ha dapprima annunciato al tavolo di confronto MiSE la chiusura del sito di Carate Brianza (MB) in Lombardia e poi proceduto sia alla cessazione dell’attività che al licenziamento collettivo per 133 dipendenti il 18 dicembre 2017.

 

Ci sono altri casi come Ittierre, Mabro, Cantarelli, Kflex, l’azienda Carlo Colombo. Sono aziende come la Froneri e Ceme Spa. Casi che non hanno trovato risposta e che non possono trovare risposte sempre nonostante l’intervento tempestivo del MiSE perché sono crisi di un mercato specifico o di una azienda che non ha saputo, in qualche modo, prevedere una crisi in arrivo e non ha saputo riorganizzarsi, nonostante l’intervento del MiSE. Ministero che non ha mai il piacere di vedere un tavolo che si chiude in modo negativo che sia questo Ministro o che sia il Ministro precedente o quelli prima ancora. Credo che a qualsiasi forza politica appartenga un Ministro dello Sviluppo Economico che vede chiudere un’azienda certamente prova un grande senso di frustrazione per non aver potuto mettere in campo delle azioni attea salvaguardare quell’assetto produttivo e quei lavoratori.

 

Ho voluto ricordare queste aziende, che sono solo alcune delle crisi che sono state chiuse negativamente negli scorsi anni, perché troppo spesso in questi giorni ho visto dibattiti televisivi incentrati sulle crisi aziendali odierne, quali casi unici e mai visti, ma purtroppo da Ministro dello Sviluppo Economico devo constatare che molti di questi fenomeni si sono perpetrati per anni a danno di tutto il tessuto industriale del nostro Paese, con, in molti casi, responsabilità dirette della politica su licenziamenti e  chiusure, fallimenti e cessazioni che purtroppo non hanno avuto soluzione alcuna, nemmeno quella di garantire un reddito ai lavoratori che impattavano.


OBIETTIVI FUTURI

Questa è la situazione, ma voglio rappresentarvi anche i nostri obiettivi futuri che intendiamo perseguire con azioni di breve e medio periodo.

Oltre alle modifiche che hanno riguardato la struttura di crisi e la necessità di adottare specifiche procedure per i tavoli di crisi (cui ho fatto cenno nella prima parte del mio intervento), altre importanti novità sono state previste dai recenti interventi normativi in tema di imprese in crisi.

Il decreto legge n. 34/2019 (c.d. Decreto Crescita) ha previsto interventi specifici per facilitare i processi di risanamento di imprese che versano in situazioni di difficoltà.

In particolare, nei casi in cui l’azienda si trova in uno stato di difficoltà e l’imprenditore ha intenzione di cedere o delocalizzare l’attività, con la contestuale perdita dei posti di lavoro sul territorio, è stato introdotto un apposito Fondo di sostegno per la prosecuzione dell’attività di impresa con interventi, a condizioni di mercato, nel capitale di rischio dell’impresa. Nell’attuale formulazione normativa, la misura mira soprattutto alla valorizzazione dei marchi storici di interesse nazionale e alla contestuale tutela dei livelli occupazionali delle imprese in difficoltà titolari di detti marchi. Vi preannuncio però che è allo studio la revisione del detto Fondo di sostegno che vorremmo estendere alla generalità delle imprese che oggi popolano i tavoli di crisi presso il MiSE, fermo restando la tutela dei titolari di marchi storici iscritti nell’apposito registro (per i quali verranno preservate condizioni privilegiate di accesso) e la necessità di individuare limiti dimensionali di accesso al fondo in coerenza con le risorse al momento in dotazione (30 milioni di euro per il 2020). Puntiamo a presentare a tal fine un emendamento già in legge di bilancio per rendere operativo il fondo già a partire dai primi mesi del nuovo anno.

Sempre nell’ambito del decreto Crescita, è stata prevista, all’articolo 29, comma 3, la revisione, con decreti del MISE, della disciplina attuativa degli interventi per le aree di crisi industriale, improntata alla semplificazione e accelerazione delle procedure di accesso, concessione e erogazione delle agevolazioni, nonché all’incremento dell’efficacia degli interventi. L’obiettivo è quello di assicurare la piena accessibilità agli interventi per l’incentivazione delle attività imprenditoriali e il contenimento degli oneri amministrativi e finanziari a carico delle imprese beneficiarie.

In tal senso abbiamo già emanato il DM attuativo della disposizione quanto alle agevolazioni di cui alla citata legge n. 181/1989 in favore di programmi di investimento finalizzati alla riqualificazione delle aree di crisi industriali.

Le novità introdotte sono finalizzate principalmente a:

  • la riduzione della soglia minima di ammissibilità per progetto da 1,5 a 1 milione di euro;
  • l’inclusione delle reti d’impresa fra i soggetti ammissibili;
  • l’inclusione delle spese per la formazione del personale tra quelle ammissibili;
  • la semplificazione delle procedure di valutazione dei progetti;
  • all’introduzione di un fast track per i progetti ad elevato impatto occupazionale;
  • l’estensione del cumulo delle agevolazioni all’intervento del Fondo di garanzia per le PMI.

I nuovi bandi verranno pertanto disciplinati dalle nuovi disposizioni più favorevoli alle imprese sia in termini di accesso alla procedure sia in termini di intensità di incentivi.

I recenti interventi normativi hanno interessato anche il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, la cui finalità precipua è quella di favorire l’accesso al credito da parte delle PMI mediante la concessione di una garanzia pubblica che si affianca e spesso si sostituisce alle garanzie reali portate dalle imprese.

Mi riferisco, nello specifico, all’articolo 1 del decreto Semplificazione che ha previsto l’istituzione di una sezione speciale del Fondo di Garanzia, con una dotazione finanziaria iniziale di 50 milioni di euro, dedicata alle PMI, incluse quelle operanti nel settore edile, che si trovano in difficoltà nella restituzione delle rate di finanziamenti contratti con banche e intermediari finanziari e sono titolari di crediti nei confronti della Pubblica Amministrazione: attraverso questa sezione del Fondo è lo Stato a farsi carico della garanzia per i ritardi della PA.

L’efficacia della predetta misura è condizionata alla preventiva notifica alla Commissione Europea, ai sensi dell’articolo 108 del Trattato sul funzionamento dell’UE, in conformità alla normativa sugli aiuti di Stato.

Per quanto riguarda l’accesso al credito, credo sia fondamentale l’istituzione della banca pubblica per gli investimenti che dovrà garantire alle nostre imprese in difficoltà l’accesso al credito privilegiato.

Al fine di poter incidere in maniera più efficace sulla gestione e sulla risoluzione delle crisi aziendali proporrò nei prossimi giorni una serie di ulteriori strumenti, che si vanno ad aggiungere a quelli varati in questi mesi ed alla strumentazione a legislazione vigente:

  1. il rafforzamento della collaborazione tra le strutture ministeriali e Invitalia in considerazione del riconosciuto ruolo di gestore delle agevolazioni a favore di imprese e di supporto tecnico e operativo per l’attuazione degli accordi di programma dei progetti finanziati dall’Unione europea, con l’obiettivo di una più efficace e tempestiva gestione delle risorse; vale a dire, che c’è troppa lentezza tra il momento in cui l’accordo di programma con l’investimento correlato viene passato ad Invitalia e il momento in cui quell’investimento diventa effettivo;
  2. il potenziamento della collaborazione con Unioncamere e di tutta la rete camerale cui verranno affidate, in virtù della radicata conoscenza del territorio, specifiche competenze in tema di supporto tecnico e informativo del Ministero nella gestione delle crisi d’impresa, anche in considerazione delle funzioni attribuite alle camere di commercio nell’ambito dei nuovi sistemi di allerta e gestione assistita delle crisi di imprese (OCRI);
  3. la definizione di un accordo quadro tra Ministero e regioni (attraverso il supporto della Conferenza Stato-Regioni) per la definizione di unità di crisi regionale in ciascuna delle regioni italiane e delle province autonome, che operino in coordinamento con la Struttura del Ministero dello Sviluppo Economico;
  4. l’introduzione di misure in grado di favorire l’attrazione di investimenti esteri mirati ai territori e alle imprese in crisi.

 

Prima di chiudere il mio intervento consentitemi di ribadire anche in quest’Aula l’importanza della collaborazione tra i diversi soggetti, istituzionali e non, nella gestione delle crisi aziendali.

Sempre più spesso assisto alla spettacolarizzazione delle crisi per finalità del tutto estranee al contesto di riferimento, calpestando il rispetto della dignità delle persone e delle famiglie che ne vengono travolte. Sempre più spesso poi si dimentica inoltre che la crisi di una azienda è il fallimento di mercato di una iniziativa imprenditoriale: non necessariamente e non sempre, nonostante tanti sforzi, si riesce a trovare una soluzione positiva. Noi ci impegniamo molto, ma accade che si debba procedere a una chiusura negativa del tavolo, con il conseguente fallimento dell’impresa e la grave perdita dell’occupazione. È allora il caso forse, soprattutto laddove alla crisi d’impresa si associano ricadute sociali che interessano interi territori, di evitare: estemporanee affermazioni sganciate dalla complessità del contesto di riferimento, inopportune accuse di incapacità e inadeguatezza, falsi allarmi che alimentano le speranze e le preoccupazioni di chi è lì in attesa di aiuto.

Io credo nella politica responsabile e anche sul fronte delle crisi questo sarà il mio metodo di lavoro che cercherà sempre e comunque l’individuazione di soluzioni concretamente percorribili e sostenibili a beneficio dell’attività d’impresa e della tutela dei livelli occupazionali.

Credo sia gisuto fare un passaggio sulle due crisi principali anche su Ilva, sull’ex stabilimento di Ilva abbiamo già avuto modo in quest’Aula e in Senato di ripercorrere con la nota informativa la situazione dello stabilimento sia dal punto di vista storico che attale.

Ma prima di Ilva ed Alitalia, vorrei fare un accenno al caso Whirlpool. Come sapere c’era l’intenzione di cedere un ramo produttivo con lo stabilimento di Napoli. Una procedura che era stata giù attivata. L’azienda è retrocessa da questa iniziativa ed è stata evitata in questo momento una criticità da cui non sarebbe più emerso lo stabilimento di Napoli. Dobbiamo lavorare con una prospettiva di un anno a partire da circa un mese fa. Abbiamo quindi 1 mesi per trovare una soluzione definitiva. Non sono uso creare facili allarmismi ne facili entusiasmi, quindi non ho festeggiato quando abbiamo “costretto” l’azienda a retrocedere dalla cessione del ramo d’azienda. Festeggerò quando avremo definitivamente risolto il problema dello stabilimento di Napoli.

Per quanto riguarda Ilva, è evidente che ci sono delle interlocuzioni. E’ altrettanto evidente che c’è un procedimento giudiziario che noi riteniamo immotivato perché pensiamo che non ci sia un diritto all’esercizio del recesso. Abbiamo chiesto all’azienda di recedere dall’esercizio di questo diritto che secondo noi non ha per creare le condizioni per sedersi ad un tavolo e vedere di affrontare la questione industriale che dovrebbe essere al centro di ogni ragionamento, con l’obiettivo di tutelare un settore produttivo fondamentale per il nostro paese, oltre che le 11 mila persone coinvolte direttamente tra Taranto e gli altri stabilimenti e le decine di migliaia di persone dell’indotto. Ovviamente di più non ho da dire perché sono in corso in queste ore interlocuzioni in tal senso.

Esattamente come attendo domani, alla scadenza della ultima proroga che è stata autorizzata ai Commissari e concessa al costituendo Consorzio, di leggere ciò che il consorzio con Fs capofila scriverà ai Commissari. Anche in questo caso si sono susseguite dichiarazione in un senso e nell’altro. Come dicevo prima, bisognerebbe limitare le esternazioni per evitare di suscitare facili allarmismi o entusiasmi, specie in questo momento difficile per qual tavolo di crisi. Ritengo che ci siano delle condizioni che mi fanno essere parzialmente ottimista per ciò che succederà nelle prossime ore, ma ovviamente devo attendere che il Consorzio scriva ai Commissari, dopodiché i Commissari, che hanno informato il MiSE e me personalmente in tutta questa ultima fase del percorso, mi scriveranno. Attenderò le loro considerazioni conclusive e quindi le determinazioni che vi saranno di conseguenza”.