Gli aumenti ‘di legge’ previsti dal salario minimo potrebbero mettere in grave difficoltà migliaia di piccole imprese.

In particolare, nel commercio, aprire la porta ad aggravi automatici del costo del lavoro rischia di essere un boomerang per l’occupazione: la coperta è corta, molte attività sono già in una situazione limite e potrebbero scegliere di ridurre la forza lavoro a fronte di ulteriori oneri.

Bene dunque la proposta, avanzata dal Governo, di immaginare un meccanismo per salvaguardare le PMI prevedendo per loro un ‘intervento a costi invariati’.

Così Confesercenti sul salario minimo.

Secondo le nostre stime, il salario minimo si trasformerebbe, per commercio e turismo, in un aumento di circa 1 miliardo di euro al lordo delle tasse solo per portare i minimi tabellari a 9 euro. Calcolando anche gli effetti a ‘cascata’ dovuti alla scala parametrale, l’incremento di costi per le imprese del settore servizi arriverebbe a circa 7 miliardi di euro. Una batosta insostenibile per le attività di minori dimensioni.

I casi di sfruttamento del lavoro sono inaccettabili e devono essere combattuti con forza, ma non spariranno con l’arrivo del salario minimo.

Servono invece misure mirate per contrastare le irregolarità ed il dumping contrattuale generato dai contratti pirata, siglati al ribasso – anche in termini di diritti e di tutele dei lavoratori – da associazioni non rappresentative.

Un fenomeno che il salario minimo non risolve, rischiando invece di danneggiare la buona contrattazione collettiva ed i lavoratori: i CCNL prevedono altri benefici oltre al salario puro, come l’assistenza sanitaria ed il welfare contrattuale, che potrebbero saltare.

L’obiettivo di garantire il reddito dei lavoratori è condivisibile, ma per raggiungerlo sarebbe più equo e sostenibile tagliare le tasse sui redditi più bassi.

Siamo convinti che occorra mettere più soldi nelle tasche di chi lavora, in particolare dei salari medi, quelli che hanno più sofferto durante la crisi.

E anche che l’esigenza di garantire dignità a chi lavora – dipendenti e imprenditori – sia un principio sacrosanto. Per far questo però dobbiamo far ripartire la contrattazione, non cancellarla: diciamo dunque sì, con convinzione, alla proposta di una flat tax sugli aumenti salariali al di sopra dei minimi contrattuali.

Secondo le nostre stime, una detassazione degli incrementi retributivi per tre anni potrebbe lasciare nelle tasche degli italiani 2,1 miliardi all’anno. Risorse che porterebbero ad una spinta di 1,7 miliardi di euro di maggiori consumi.