I pentiti del Reddito di cittadinanza preferiscono perdere il contributo piuttosto che rischiare un controllo sul conto corrente.

E per molti italiani i controlli bancari e fiscali sono un incubo: SosTariffe ha fatto il punto su chi può verificare i movimenti di carte di credito, assegni, conti correnti e deposito e molto altro e quali sono i mezzi che hanno i consumatori per provare ad opporsi.

Il Reddito di cittadinanza ha resuscitato una delle vecchie paure degli italiani: il controllo dei conti correnti. Si parla già di circa 100 mila rinunce (secondo alcuni si raggiungerebbero anche le 130 mila) tra i beneficiari della carta per il sostegno economico statale.

La fuga sarebbe dovuta principalmente a degli importi molto più bassi delle aspettative (es: secondo le stime dei Caf 40mila beneficiari del sussidio di 200 euro starebbero facendo marcia indietro) e ai controlli pervasivi e invadenti obbligatori e necessari per ricevere il beneficio.

Motivi economici a parte però l’elemento che sta influenzando maggiormente i pentiti del reddito sembra essere la rete di controlli e le sue conseguenze. Le dichiarazioni false o contenenti omissioni gravi infatti possono portare ad una condanna fino a 6 mesi di carcere.

Le domande si rincorrono e non a tutti è chiaro quali siano le procedure che l’INPS e l’Agenzia delle Entrate potranno mettere in atto per effettuare i controlli necessari, ma soprattutto se questi controlli siano sempre legittimi.

SosTariffe ha quindi svolto un’indagine su conti correnti e privacy per rendere chiari alcuni dei punti ancora oscuri per molti consumatori. Come quali siano i soggetti che possono controllare i conti? E quali informazioni possono essere legittimamente monitorate?

Possono controllare il conto?

In genere si parla sempre di conto corrente, ma la verità è che la Guardia di Finanza e gli enti preposti (Agenzia delle Entrate e Commissione tributaria) possono effettuare controlli su tutti gli strumenti e prodotti bancari o postali.

Possono quindi essere monitorati conti deposito, le carte di credito, i prodotti finanziari, le obbligazioni e i buoni fruttiferi, oltre ai conti correnti.

Nella grande anagrafe tributaria a cui hanno accesso questi enti sono visibili i rapporti dei saldi, le aperture e le chiusure di conti e gestioni patrimoniali, gli accessi alle cassette di sicurezza, i monitoraggi dell’utilizzo delle carte e molto altro.

Sui conti deposito o per quel che interessa le obbligazioni si potranno controllare acquisti e vendite, rapporti fiduciari, portafoglio titoli, ecc.

I controlli in passato concentrati su imprenditori e professionisti ormai si estendono a tutti.

Chi può mettere il naso nei dati bancari degli italiani

Per poter procedere alle verifiche dei vostri dati la Guardia di Finanza, la Commissione tributaria e l’Agenzia delle Entrate non sono tenute a darvi nessun preavviso.

I documenti possono essere richiesti alla banca o alle Poste per le loro indagini dall’Agenzia delle Entrate – dietro autorizzazione del Direttore centrale o regionale dell’Ente. Ad autorizzare i finanzieri ad effettuare le opportune verifiche invece deve essere una richiesta firmata dal Comandante regionale.

Per l’accertamento comunque sono necessarie prove consistenti o segnalazioni di versamenti sospetti. Oppure come nel caso del Reddito si procede ad una verifica automatizzata tramite Anagrafe dei conti correnti.

Quali dati possono controllare?

I controllori possono avere accesso al SID (Sistema di interscambio flussi) dell’Agenzia dell’Entrate, un database che raccoglie tutte le informazioni delle banche dati di Poste italiane, degli istituti di credito.

Questo strumento permette quindi di monitorare: buoni fruttiferi, fondi pensione, c/c e conto deposito titoli, obbligazioni, gestione del risparmio, gestione patrimoniale, cassette di sicurezza, così come i movimenti di bancomat, prepagate e carte di credito, finanziamenti.

E ancora i movimenti di incassi e pagamenti, transazioni di contante e assegni, ma anche i vaglia postale, gli strumenti finanziari, le bollette e le utenze agganciate al conto.

Non ci sono controlli invece sui prelievi dal conto che sono liberi.

Quali sono i conti passibili di verifica?

Stando a quanto prescritto dall’art. 255 del Codice di Procedura Penale è chiaro come l’autorità giudiziaria che opera per reprimere un reato non solo possa ottenere le informazioni dagli istituti di credito ma bypassi anche il segreto bancario:

L’autorità giudiziaria può procedere al sequestro presso banche di documenti, titoli, valori, somme depositate in conto corrente e di ogni altra cosa, anche se contenuti in cassette di sicurezza, quando abbia fondato motivo di ritenere che siano pertinenti al reato, quantunque non appartengano all’imputato o non siano iscritti al suo nome”.

Se si presume che siano state commesse delle irregolarità nei versamenti sul conto non c’è distinzione tra i diversi tipi di contribuente. Che si tratti di libero professionista, persona fisica o impresa gli accertamenti possono procedere. Anche i lavoratori autonomi devono essere in grado di giustificare tutte le operazioni in entrata sul proprio conto corrente.

È stata la sentenza 104 del 4 gennaio 2019 della Corte di Cassazione a stabilire questo principio:

secondo questa Corte, il contribuente ha l’onere di superare la presunzione posta dagli artt. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972, dimostrando in modo analitico l’estraneità di ciascuna delle operazioni bancarie a fatti imponibili (Cass. 3 maggio 2018, n. 10480), dimostrazione che nel caso di specie non risulta avvenuta, senza che assuma alcuna rilevanza la sua qualifica soggettiva di lavoratore dipendente, autonomo o imprenditore”.

 

Le leggi antievasione e la fine del segreto bancario

Oltre all’articolo penale e alla sentenza appena citati la grande svolta in tema di controlli fiscali e bancari è stata segnata nel 2011. Il Governo Monti con il Decreto Salva Italia ha inaugurato una nuova fase della lotta all’evasione fiscale. Con il Decreto infatti è stato istituita l’Anagrafe dei conti come sistema di contrasto al nero.

Nell’art. 11 “Emersione di base imponibile” è stabilito che: “A far corso dal 1° gennaio 2012, gli operatori finanziari sono obbligati a comunicare periodicamente all’anagrafe tributaria le movimentazioni che hanno interessato i rapporti di cui all’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, ed ogni informazione relativa ai predetti rapporti necessaria ai fini dei controlli fiscali, nonché l’importo delle operazioni finanziarie indicate nella predetta disposizione. I dati comunicati sono archiviati nell’apposita sezione dell’anagrafe tributaria prevista dall’articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605, e successive modificazioni”.

Privacy: unica arma per difendersi dai controlli forzosi?

Resta da capire quali possano essere i casi di controlli illegittimi e se gli utenti abbiano dei mezzi di difesa rispetto ad essi. La questione non è semplice e qualche spiraglio sembra esserci sul lato della privacy. Come? Prendiamo il caso dei controlli necessari per verificare le domande per il Rdc, le procedure per effettuare questi monitoraggi potrebbero esporre banche ed enti ad una serie di reclami per la violazione della normativa sul trattamento dei dati personali.

Gli istituti bancari, nel caso specifico dei conti correnti, in caso di reclamo per violazione delle normative sulla privacy dovranno dimostrare come hanno adempiuto – o perché non lo hanno fatto – alle norme prescritte dal GDPR: questo è un corollario fondamentale del principio di responsabilizzazione (accountability).

Ciò comporta l’obbligo per tutti i titolari di trattamento di dimostrare, in ogni momento, che cosa è stato fatto per conservare e trattare i dati personali, come gli utenti vengono informati dei trattamenti che li riguardano (in particolare della logica del trattamento automatizzato dei loro dati), per predisporre misure di sicurezza fin dalla progettazione dei trattamenti, etc.

Lo stesso Garante della privacy, Antonello Soro, a febbraio 2019 ha presentato una Memoria alla Commissione Lavoro del Senato in cui evidenziava i punti più critici in tema di controlli per il Rdc e privacy.

Nel testo sono riportati i 5 dubbi più importanti legati, com’è ovvio, al trattamento dei dati personali, tra i quali sono inclusi i dati bancari e finanziari. Tra gli altri si legge in chiusura del documento che si riscontano problemi persino rispetto al sito web del Governo, dedicato al reddito di cittadinanza:

si segnala, al riguardo, che il sito rivela, già nel suo attuale stato di sviluppo, alcune carenze, in particolare, nell’informativa sul trattamento dei dati e nelle modalità tecniche della sua implementazione (che, ad oggi, comportano un’indebita e non trasparente trasmissione a terzi dei dati di navigazione, quali indirizzi IP e orario di connessione, da parte dei visitatori del medesimo sito)”.